Connessione remota, così             
 
remota che la mano s’abbandona
 
sulla tastiera
 
                      – che parola bella
 
                    e come evoca infantili esercizi al pianoforte! –
 
Però                                               
 
       dove sbagliavo, e quando?
 
Forse al momento del pianissimo
 
o dell’andante                              
 
                       forte con sentimento?
 
Intanto la connessione qui ancora
 
oggi s’è smarrita e cade                
 
la linea. Mi rassegno e chiudo     
 
ogni contatto.                               
 
(In un altro marzo lontano avrei     
 
            preso una penna e un cartoncino azzurro,
 
gli avrei dato ali e vento,               
 
fino alla cassetta                          
 
                          rossa della posta).

Eleonora Bellini

dedicato a tutti i cari amici passa_n_ti

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verso il solstizio d’ inverno…

*

 

dopo tanto tempo , caro il mio Blog , ti utilizzo come diario…
( alla fine ti dico perché…)


dopo sole 4 h. di sonno
(dalle 2 alle 6)
per altro un po’ travagliato probabilmente a causa della abbondanti libagioni
qui

alle 7.30 già nella vecchia casa “smantellante”

dove Dorinabadantedimamma con suo marito
avrebbero preso tutto l’arredo cucina…
 

alle 9 già c/o la premiata ditta

per qualche acquisto “gourmand -natalizio”
 

alle 10 alla volta degli amati luoghi

dove
-perprogrammazioneimpellenteperiprogrammideiprossimigiorni…-
dovevo/volevo espletare :
§ ritirare le lattine dell’olio prodotto da cari amici di babbo&mamma
( i sigg Loliva toh ! guarda)
§ salutare i nonni in Cimitero
§ dare un bacio volante a Davide (ma anche a Fùfù&OhOh)
§ brekkare –caffè ed una veloce 1/2oretta di chiacchiere-
dalla mia amata cuginetta Franca
(o Franchina per distinguerla dalla sottoscritta !)
§ portare gli auguri con bacione agli adorati zii ,genitori di Franchina
che come di prammatica hanno insistito a che rimanessi a pranzo
(ho inventato una scusa “perché no…”
visto che ci vorranno 2giorni per smaltire la cena di cui sopra)
 
sulla strada del ritorno già alle 13.20 all’incirca…
superando le dolci contrade…Malarizza…Murgia Antici…Gemma d’Arrigo
scollinando da Mottola…con un sole che faceva dimenticare i 6° di stanotte
con un traffico che solo di domenica a quell’ora è da crociera,

ritorno quidove
troppo intensi gli elementi naturali
acqua-mare fuoco-sole
m’hanno forzata a parcheggiare …
 

con calma ( il “salto-pasto” continuava a durare!)
verso le 14.10 ero chez moi !
( e volentieri ho fatto anche il “salto-pennichella” !)

 
(il viaggio d’andata e ritorno sottolineato da verso&auto-reverso )

Caro il mio Blog,
a parte l’incetta di immagini/baci/affettiduraturi…,
m’ha colpita ‘sto pensiero
(pericolosamente individualista ?!?)
 

: sono contenta di avere la patente di guida da 45 anni !!! 
(ecco…l’ ho detto !)


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in assenza
isolavo…parafrasavo…mi ripetevo…
qualcosa che
– in tempi non sospetti ! –
avevo postato in forma di
dedica


Aprite la porta,…Se occorre l’abbatteremo coi nostri colpi….
…Guardiamo la porta; è chiusa,…
…La porta è davanti a noi; a che serve desiderare?…

*
"Un uomo, che si abbevera a una fontana, ha voglia di qualcosa d’altro,
ha voglia di dissetarsi…
una metafora molto forte del bisogno di poesia dell’uomo".


forse era per questo … l‘assenza

Apparve d’improvviso….colmò il cuore,…

dedicato ad un grande (sostantivo)…ritorno

*

"La sete" Alberto Sughi

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*


In fin dei conti Sarajevo mi lascia addosso uno strascico di tristezza.
Ripenso all’apertura delle Olimpiadi, impeccabile, sontuosa… però anche lì,
su quello stadio scintillante, c’era la cappa metallica di una tristezza stagna
che la levità dei gesti delle majorette, i salti delle piccole atlete sui pattini
non bastavano a dissimulare. C’era una cupezza militare, la stessa cupezza comune a tutti gli atleti dell’Est, la sensazione tangibile che durante
gli allenamenti non si fossero mai divertiti. E che dire degli occhi del piccolo venditore di nocciole tostate fuori dallo stadio Zetra? Erano gli occhi
di un bambino, quelli, o di un topo? Gli avevo fatto una carezza, gli avevo lasciato la mancia e lui non s’era smosso d’un baffo, un bambino di pietra.

da "Venuto al mondo" di Margaret Mazzantini

questo passo della Mazzantini ha descritto pienamente la sensazione che ebbi nel visitare Berlino Est nel 1986 

*
foto boîte MadeinFranca
scattata al "di qua " del muro di Berlino


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*

Io scrivo perché sento il bisogno innato di scrivere !
Scrivo perché non posso fare un lavoro normale,come gli altri.
Scrivo perché voglio leggere libri come quelli che scrivo.
Scrivo perché ce l’ho con voi, con tutti.

Scrivo perché mi piace star seduto in una stanza a scrivere tutto il giorno.
Scrivo perché posso sopportare la realtà soltanto trasformandola.
Scrivo perché tutto il mondo conosca il genere di vita che abbiamo vissuto,
 che viviamo io, gli altri, tutti noi a Istambul, in Turchia.
Scrivo perché amo l’odore della carta, della penna e dell’ichiostro.
Scrivo perché credo nella letteratura, nell’ arte del romanzo,
più di quanto io creda in qualunque altra cosa.
Scrivo per abitudine , per passione.
Scrivo perché ho paura di essere dimenticato.
Scrivo perché apprezzo la fama e l’ interesse che ne derivano.
Scrivo per star solo.
Forse scrivo perché spero di capire il motivo per cui ce l’ ho con voi , con tutti.
Scrivo perché mi piace essere letto.
Scrivo perché una volta che ho iniziato un romanzo, un saggio, una pagina,
voglio finirli.
Scrivo perché tutti se lo aspettano da me.
Scrivo perché come un bambino credo nell ‘immortalità delle biblioteche
e nella posizione che i miei libri occupano sugli scaffali .
Scrivo perché la vita, il mondo, tutto è sorprendentemente bello.
Scrivo perché è esaltante trasformare in parole
tutte le bellezze e ricchezze della vita.
Scrivo non per raccontare una storia ma per costruirla.
Scrivo per sfuggire alla sensazione di essere diretto in un luogo che,
come in un sogno, non riesco a raggiungere.
Scrivo perché non sono mai riuscito a essere felice.
Scrivo per essere felice.
da " La valigia di mio padre "  di Orhan Pamuk

*
" la maleta " Pedro Cano


 

 

 

dedicato a tutti i miei blog_amici che fanno dono…di leggere








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*

Resoconto

 

L’eredità non so del mio strano / rapporto

con la vita o meglio / il suo diporto

Ora / altro poco conta, caro

né più né meno di come ti ricordo

 

Col vivere si versa / al vivere un acconto

ma sempre infine ti si riversa il conto

in scomodo ritardo, prolisso contrattempo

 

Fili di carrucola dipanano

strane circostanze / meccanismi

ricordi a branchi / brancolano il buio

ed io qui in attesa di dire, cosa? –

Quello che è stato, o quel ch’essere poteva?

 

Qui con i miei fantasmi (a) tracimare

sciogliendo il giusto, il vero dal superfluo

scandagliandone il ritmo ed il meandro

scindendo l’essere dal non

l’ora dal quando

 

Lo strano riversarsi / lo strasogno

tra annichilimento e resoconto, catarsi

a summa del percorso,

quel tuo darsi – strano a dirsi – in fogli sparsi

aspersi di consenso, di non detto

 

Discorsi – quanti, (ricordi?) – sui corsi

e sui ricorsi:

il pessimismo / bicchiere mezzo vuoto

l’ottimismo, se è bicchiere mezzo pieno

l’altra metà è fine del sentiero

 

Ed ora qui a riflettere se è vero

se esista un senso al verso del pensiero

o se tutto è già scritto falso e vero

 

Se è nel libro che ti addossi contro

in quel palmo riverso, nascita e mescita

rimescolìo d’intenti / fraintendimenti

 

E noi assuefatti (ad) ossigeno e certezze

 

in bilico tra un sé stessi e il niente…

 

Ah, se potessi, al vivere

non dover mai / dare un resoconto.

 

 

 

da " Nel senso del verso " di Valeria Serofilli


foto frédéric jaulmes

 

 

 

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l’emozione di chi, uscito dal museo e con gli occhi pieni di sublimi paesaggi e colori…  
scopre che l’arte si può trovare dappertutto…


*

Uscendo dalla Tate

 Uscendo col tuo pacco di cartoline
in una borsa della Tate Gallery e un altro pacco
di quadri stipati in testa ti fermi
sugli scalini a guardare oltre il fiume

e ce n’è uno nuovo: edifici luminosi,
un rivolo d’acqua scura, e un cielo
che ti domandi chi l’ha dipinto – Constable? No:
troppo sfavillante. Crome? No: troppo estatico –

un cielo assurdo puro pre-raffaelita,
forse, un blu assoluto con qualche ciuffo bianco
che lo percorre (oggi, che è
aprile. Un altro giorno sarebbe diverso

ma non importa. I cieli funzionano tutti).
Scendi a quel particolare in basso a destra:
gabbiani che beccano fango, sotto
quei due palazzi di uffici e una strada Georgian.

Ora spostati a sinistra, e includi i platani
che ondeggiano di gemme, quell’edificio di mattoni
e un autobus rosso… Stacca proprio lì,
dal lampione. Il ponteggio lascialo dentro.

Quello sarà il prossimo. Strano come
questi quadri all’esterno non esistessero
prima di guardare i quadri all’interno,
quelli sulle pareti. Ma eccoli qui ora,

a marciare fuori dal loro panorama
e a mettersi in fila per quel mirino
che è il tuo occhio. Li puoi isolare
tenendo fermi i muscoli ottici.

Puoi fare una zumata su studi di figure
(il ragazzo con lo zaino), o nature morte,
astratti, paesaggi urbani. Non li ha fatti nessuno.
Li ha dipinti la luce. Sei tu che presiedi

la giuria di selezione. Lascia lo spazio
che vuoi tra quelli che appendi,
e gioisci. L’arte si moltiplica.
Arte è tutto quello che decidi
di incorniciare.

 Fleur Adcock

*
" The Unsealed Room "  di Leonor Fini

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*
…….

Cecilia veniva da Milano, una cuginetta acquistata e mio primo amore
di bambino. Bramavo di stare sempre vicino a lei. Cercavo con gli occhi avidi
quando saliva sugli alberi, attraverso i rami del caco o del pino, il momento migliore per contemplare il morbido bianco sotto le sue vestine.
Lei mi chiamava 
su, ma io ero estasiato da quel cielo di emozioni.
Anche le donne adulte attiravano la mia ansia di scoperta,
ma già distinguevo i colori di un diverso desiderio, impastato di buio questo,
di fremiti da portare in confessionale; mentre le brachette aeree di Cecilia erano l’espandersi del cuore che mi batteva in gola.
Ciò che non ricordo
(è questa la ragione per cui ero creduto un bambino puro?),
è l’ansia della scoperta del sesso maschile altrui,
che pure gli psicologi dicono esistere.
Sarà stata obliterata dall’altra ricerca per la quale adoperavo tutte le furbizie
pur non riuscendo, nel momento della verità con le compagne,
a sfoderare quel minimo di franchezza che mi avrebbe fatto scoprire
la loro reciproca curiosità. Il peccato si alzava, nero, a rincretinirmi.
Anche l’ostensorio in chiesa, che seguivo con pupille adoranti,
conservava tratti di quella allucinazione, respinta fino a divenire virtù macerata.
Che rendeva scura anche l’erba del prato; e improvvisamente verdissima, tenerissima,
dietro il viso di Cecilia.
….
L’ansia dello scoprire cambiò titolo quando nel giocare alla lotta con la cugina, la stesi sotto di me forzando le sue spalle sul terreno nel segno della vittoria. Una dolcezza sconosciuta mi si propagò dallo stomaco al petto, il prato, i fiori si dilatarono. Chiudevo gli occhi e le immagini dei sogni mandavano scintille
di proposito. Capii, anzi lo capisco adesso, che i sogni sono apprendimento. L’incanto di quei momenti supera ciò che poi il reale chiarì a poco a poco:
il sesso non è proprio l’amore, che è bisogno di essere insieme,
di mettere insieme i corpi per scovarne la ragione profonda.
La felicità delle fibre era indipendente dal proposito, seppur questo
si affacciasse in quel subbuglio di valori che sbandieravano nelle arterie
e fin nelle ossa la gioia del comunicare, invadeva il prato e il pino sopra di noi, scatenava nei nostri corpi il desiderio del mare e delle stelle:
l’incontro tra i quarks nel buio del vuoto somiglierà
a questo aiuto che si prestavano le nostre pelli infantili?
Poi saremmo andati a dottrina la sera, avremmo sentitp il prete comprimere
il nostro entusiasmo. Eravamo colmi di infinito. Camminavamo verso il paesino tenendoci per mano. La strada non era asfaltata, non passavano automobili: una carrozza, alcuni carretti che tenevano press’a poco il nostro passo,
un calesse avvertiva, schioccando la frusta, di metterci a lato.
Arrivammo alla chiesa di campagna. Prima di entrare ci mettemmo a giocare con gli altri bambini. L’unico grado tra noi era la forza, la capacità di correre più svelti. Ripercorrevamo l’antico giocare animale scolpito nella nostra carne. Sulla facciata della chiesa cominciava la cultura, paurosa.
Andavamo a dipanare un piacere sconosciuto proprio là dove ce lo proibivano. Perciò ero ritenuto un santo bambino, in fondo non era in contrasto
con la preghiera questa mia esplorazione pulsante che non confessavo,
se non mistificandola, al prete.
da " Il terzo aspetto " di Giorgio Saviane
*
"Scuola di disegno"  di Adelchi Mantovani
 

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dopo una lettura qui


*

Je voudrais qu’on rêve ensemble
Qu’on se réveille ensemble
Je voudrais qu’on attrape d’une même main
Qu’on entende d’une même oreille
Je voudrais te saluer de près
Ne jamais te perdre de loin
Je voudrais te voir par tous les moyens de la vision
Je voudrais que l’intérieur commence par toi
Que l’extérieur ne soit que toi
Je te voudrais dans la volonté et dans ce qui la dépasse
 
Je me voudrais ce qui court vers toi
Ce qui s’anéantit et retrouve vie en toi
Sans que tu ne diminues en rien
Je me voudrais ailes déployées
Corps qu’aucune aile ne peut porter
Je te voudrais destination de toute lettre
Source de tout mot
Je te voudrais champ et chambre
Terre et arbre, iris et son regard
Comme si ta vie était l’envers de la mienne
Et qu’elle serait balayée par le même souffle

Au fond de ma barque  di Seyhmus Dagtekin 

Vorrei che sognassimo insieme
Che ci svegliassimo insieme
Vorrei  che prendessimo con la stessa mano
Che sentissimo con lo stesso orecchio
Vorrei salutarti da vicino
Non perderti mai da lontano
Vorrei vederti con tutti i mezzi della visione
Vorrei che l’interno cominciasse da te
Che l’esterno non fossi che tu
Ti vorrei nel volere e in ciò che lo supera

Vorrei me ciò che corre verso di te
Ciò che s’annulla e ritrova vita in te
Senza che tu diminuisca minimamente
Vorrei me ad ali spiegate
Corpo che nessuna ala può portare
Ti vorrei destinazione d’ogni lettera
Fonte di ogni parola
Ti vorrei campo e camera
Terra e albero , iride e sguardo
Come se la tua vita fosse l’inverso della mia
E che essa fosse spazzata dallo stesso soffio

(traduzione madeinfranca)

*
foto di Jerry N.Uelsmann

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*

Quelli di Viareggio

Alle nove del mattino suonò la campana a martello.
Era una campana piccola, il suono veniva a folate, argentino,
a seconda che il vento lo trasportava felicemente o lo sperdeva.
C’era il sole di aprile. Il mare era tempestosissimo.
Urlava spumando nel sole:
Chi si affacciò sulla porta, chi si fermò.
Viareggio aveva, a quel tempo, seicento case,
tutte sul mare, un semicerchio in dolce pendenza,
 seicento case di marinai, a un solo piano,
abitate dalle donne, dai bambini e dai vecchi marinai
con la fusciacca intorno alla vita e con la barba lunga
fuorchè la domenica.
I giovani e tutti gli altri sono in mare.
( continua qui ) 
da L’Angelo del Liponard di
Mario Tobino

 

 

 

 

 

 

 

* The Sea, with a Ship…  di Tacita Dean

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